Oggi, venerdì 22 novembre, sono esattamente passati tre mesi dalla mia partenza. Ricordo che salutando i miei genitori dal finestrino di un autobus pieno di visi impauriti e sconosciuti, fantasticavo su quella che sarebbe diventata la mia esperienza: un anno in un paese che non era il mio, in una famiglia che non era la mia, con delle abitudini che non erano le mie. Ciò che posso affermare ora e’ che nessuna delle mie supposizioni assomigliava vagamente a questi primi tre mesi. Tra giorni di scuola interminabili, weekend fantastici, il mio compleanno, i cambiamenti, questi tre mesi sono davvero volati.
Partiamo però dal principio: appena arrivata ho sentito solo l’eccitazione. L’Honduras e’ un paese che bilancia l’indiscussa povertà e la mancanza di denaro con la ricchezza della sua natura. Ovunque si guarda si vedono foglie, alberi e fiori incredibili! Poi, però, provi a concentrarti su quello che intravedi dietro le foglie. E sono capanne in lamiera, volti sporchi e occhi infelici.
Passando in macchina vedi come dietro ad una casa lussuosa si nascondano baracche di legno, lamiera e fango, con bambini che appena ti vedono si inginocchiano chiedendoti qualche lempiras (moneta Hondurena) o qualche cosa da mangiare. Purtroppo a causa della povertà e della mancanza di educazione per la metà della popolazione, l’Honduras e’ un paese molto pericoloso. Nelle città non si può camminare o andare in bici per strada, usufruire del trasporto pubblico degli autobus, tenere il cellulare in mano o indossare gioielli vistosi. Abituarmi a questo mi e’ costato molto. Sono totalmente dipendente dalla mia famiglia: se voglio uscire ho sempre bisogno di qualcuno che mi accompagni e che mi venga a prendere.
Passati i primi giorni tra casa e ospedale (mai mangiare o bere qualcosa dai venditori per strada), ha preso forma la mia routine qua senza che quasi me ne accorgessi. Sveglia, scuola, pranzo, compiti.. Si potrebbe quasi pensare che grandi cambiamenti non ci siano stati, ma invece si! E stare lontana dalla mia famiglia, dai miei amici e abituarsi ad una cultura e ad un posto totalmente diverso non e’ facile come credevo.. A scuola vado dal lunedì al venerdì dalle 7 alle 2:20, 9 lezioni da 45 minuti con due intervalli. E’ abbastanza stancante ma ci sono molte pause ed e’ tutto molto più rilassato (le interrogazioni non esistono!). I miei compagni sono stati fin da subito molto amichevoli: la gente qua e’ molto vivace e, devo ammettere, un po’ invadente! I ragazzi di 16-17 anni si divertono molto tra loro ma in un unico modo: dandosi fastidio e dando fastidio agli insegnanti! Il rapporto non e’ assolutamente formale, scherzano tra loro, si rubano le cose, passano ore a farsi il solletico e a molestare il povero insegnante di turno. Sono persone gentilissime e sempre con il sorriso, non ho mai visto nessuno che si rifiutasse di comprare a un altro qualcosa da mangiare, di aiutarlo a capire un esercizio di matematica, di condividere il materiale scolastico, la merenda e anche i compiti! Mettono sempre davanti a sé gli altri: qua tutto e’ di tutti e ognuno e’ felice di darti ciò che ha (anche se si tratta dell’ultimo morso della pietanza preferita).
A scuola si passa inoltre la maggior parte del tempo, tutte le attività sono già comprese: al pomeriggio c’e’ la squadra di calcio, il coro, danza.. Io ho deciso di fare calcio, mi hanno messo come portiere! Diciamo solo che la prima partita del torneo a cui stiamo partecipando e’ finita 8 a 0 per la squadra avversaria, mi sono slogata un dito e ridotta le gambe così piene di lividi che quasi non le riconoscevo!
Inoltre, chi e’ in ultimo anno, per diplomarsi deve compiere un totale di 5 ore settimanali aiutando il proprio paese. Questo compito cambia ogni anno ed e’ scelto dal governo. Le 5 ore non vengono ahimè distribuite durante la settimana, ma il sabato pomeriggio dalle 12:00 alle 17:00.
Quest’anno ci e’ toccato uno dei lavori più difficili: l’alfabetizzazione delle persone povere che vivono con poche lempiras al giorno e non hanno potuto completare il loro ciclo di educazione. Vedo volti con rughe profonde dovute al sole che batte forte tutto l’anno, mani che non sanno tenere in mano una penna e persone che con le lacrime agli occhi ti dicono che a loro basterebbe solo imparare a scrivere il proprio nome. C’e’ chi non sa ne’ leggere ne’ scrivere, chi non sa che il proprio paese e’ situato in America, chi non sa nemmeno che l’America e’ un continente e chi porta i propri bambini con solo uno straccio addosso perché a casa non può lasciarli.
In tre mesi ho visto davvero un sacco di cose, la mia famiglia mi manca ogni minuto di più così come i miei amici, il mio letto, la mia colazione e la pizza di Lucullo (non so se si possa considerare come pubblicità occulta, comunque sia non era mio intento)! Ho imparato ad apprezzare quello che ho come prima non avevo mai fatto, e sento che ogni giorno imparo qualcosa di nuovo e cerco sempre di migliorare..
Hasta luego, besos de Honduras chicos!
Categoria: Anno all'estero | Data di pubblicazione: 31/01/2014 |
Sottocategoria: Racconti: la mia esperienza all'estero con Intercultura | Data ultima modifica: 01/02/2014 15:05:06 |
Permalink: Emilia Ziosi 4B | Tag: Emilia Ziosi 4B |
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